By China Lover
Non avevo mai trovato l’ispirazione di scrivere questo racconto.
In realtà, penso sia talmente folle che ancora oggi faccio fatica a credere che mi sia successo realmente. Di solito, è una stronzata che esce solo durante serate alcoliche, dopo che tutto ha preso il volo e siamo arrivati a chi spara la stronzata più grossa.
Anche se non vi convincerò mai, quello che vi sto per raccontare invece è successo veramente, tutto, fin nei dettagli. Beh, PdV oggi mi ha espressamente detto di provarci ed io boh, la prendo come psicanalisi, andiamo!
Era il 2016, avevo 26 anni e mi trovavo a Xiamen, nella provincia del Fujian… in basso a destra sulla Cina, fanculo i tecnicismi!
In questa ridente cittadina da sei milioni di abitanti lavoravo come project manager per un’azienda italiana di abbigliamento tecnico. La mia carriera lavorativa sembrava procedere nel migliore dei modi, visto che l’azienda mi ospitava in un figherrimo cinque stelle dall’altisonante nome di Royal Seaside Hotel, un arrogantissimo hotel di marmo policromo e oro che teneva fede al suo nome stile Dubai.
La vita dell’expat era sopportabile in quel momento, anche se spesso la mia invadente coscienza mi ricordava che vivevo in una bolla felice foderata d’oro, quando in realtà ero nel mezzo della miseria della periferia di una città industriale cinese.
In quel periodo, ho conosciuto Kazhan. La chiamavo scherzosamente così perché lei era una Hui, che è una delle 52 minoranze etniche riconosciute in Cina. In un paese dove il 92% della popolazione è di etnia Han, lei era mezza kazaka… per cui Kaz-Han.
Era dannatamente bella: un metro e settantatre di modella con uno stacco di coscia eterno, i capelli lunghi neri liscissimi, gli occhi neri con l’iride che irradiava riflessi dorati e la pelle bianca più morbida su cui abbia mai stretto le mani mentre la tenevo per la vita sottilissima tutte le volte che mi cavalcava senza pietà.
Ci siamo conosciuti in uno dei pochi locali da occidentali… in una città di sei milioni di abitanti, alla fine c’erano forse otto bar in tutto, concentrati in un’unica via, quasi a ghettizzare gli stranieri.
Ci siamo trovati a condividere lo stesso tavolo, ci siamo sorrisi, ci siamo presentati, lei che era rimasta sbigottita dal mio cinese allora fluente, abbiamo ballato insieme, abbiamo bevuto… e ci siamo ritrovati a dividere lo stesso letto e a guardare assieme il mare e le stelle facendoci le coccole, parlando fino a mattina.
Ero contento di stare con lei… all’inizio.
Aveva una sua cultura, sembrava avere una sua sensibilità e ci teneva molto a me.
Casualmente di cognome faceva Wu, che era anche il cognome che mi ero scelto in Wu Tianshi, il mio nome in cinese, e lei lo aveva interpretato come un segno del destino.
Forse ci teneva anche troppo, perché nel giro di un mese era diventata incredibilmente gelosa, e si era piazzata in pianta stabile nella mia stanza d’albergo. Usciva solo dopo che io ero già andato a lavoro per ritornarci sempre prima di quando ritornavo. Nel mentre, scoprivo una sua insolita forma di ninfomania estremamente difficile da gestire.
La mia giornata era scandita dalle sue tempeste ormonali:
6:00 lei mi svegliava saltandomi addosso, perché non ce la faceva più
7:00 colazione
7:30 di nuovo in camera e voleva un altro giro
8:15 uscivo per andare a lavoro, salutandola nella hall dell’albergo. Lei continuava a mandarmi foto di lei mezza nuda per tutta la giornata
18:00 ritornavo in albergo e prima di cena lo avevamo fatto altre due volte
20:30 cena
21:15 si torna in camera, con lei che mi attacca al muro
22:00 si mette su un film, che non guarderemo fino alla fine perché alle ore 23 le tornava voglia
24:00 a letto stremato, con lei fra le braccia
3:00 mi arriva una gomitata sul torace: lei ha fatto un incubo e vuole che la aiuti a calmarsi, sempre nella stessa maniera
A tutto questo aggiungete un dettaglio importante: Kazhan (come la stragrande maggioranza delle ragazze cinesi che ho incontrato) conosceva esclusivamente l’orgasmo vaginale, arrivandole alla cervice.
Non ho assolutamente idea di come ciò sia anatomicamente possibile (non me ne vogliano le Victorine, vi giuro che ho provato di tutto ma il clitoride non rispondeva) ma sembrava divertirsi solo cavalcandomi come una cavallerizza impazzita o facendosi caricare di cattiveria, incitandomi ogni volta ad andarci più pesante possibile. In tutto questo, il sesso non era nemmeno particolarmente coinvolgente, visto che la trovavo molto meccanica e poco passionale.
Per dirla con un proverbio veneto “Massa grasia Sant’Antonio!” (Anche troppa grazia Sant’Antonio”)
Con questi ritmi assurdi, per quanto fossi un ventiseienne in preda agli ormoni con una donna bellissima, nel giro di dieci giorni avevo cominciato a fare sempre più straordinari a lavoro perché avevo una paura matta di ritornare a casa e trovarmela davanti. Dopo tre settimane, il mio fisico mi ha mandato un ultimatum che stavamo esagerando e sono cominciate improvvise crisi d’impotenza mai provate prima.
Nessun problema per lei: la sera stessa mi attende in albergo con in mano una tazza di thè al ginseng, mi bacia con trasporto… e mi spinge in gola con la lingua una pastiglia di Viagra, mi scaraventa sul letto e mi cavalca fino a sanguinare. Letteralmente.
No basta, era troppo! Ne scoppia una lite furibonda, in cui paradossalmente io, uomo, le dico in faccia che mi sta usando come oggetto sessuale e lei scoppia a piangere.
Fra i singhiozzi, mi spiega che sapeva di avere un problema e che prima di me era abituata a turnarsi fra due~tre ragazzi diversi. Ora che era innamorata di me, voleva stare solo con me… Oh merda! E adesso?
Inaspettatamente, i mesi successivi invece furono molto belli. Parlavamo tanto e lei era molto contenta di avere un uomo che la ascoltava e con cui condividere idee, che per lei era un’assoluta novità. Forse anche questo aveva contribuito a riportare i suoi ritmi ormonali su un impegnativo ma tollerabile tre volte al giorno.
Nel mentre, mi ero anche innamorato di lei.
Bella cazzata!
L’amore mi aveva messo due belle fette di prosciutto sugli occhi, per cui non avevo dato particolarmente peso al fatto che eravamo profondamente diversi: io ero un ragazzo di provincia che era stava cercando di costruirsi una carriera facendosi il culo, lei una figlia di papà piena di soldi, che all’occorrenza piantava il lavoro, sicura che sarebbe sempre e comunque caduta in piedi.
La nostra rottura è stata qualcosa di spettacolare.
Come spesso succede, non siamo sopravvissuti alla prima vacanza insieme.
Eravamo andati a Guilin, passando una romantica settimana ad appagare il suo lato instagrammer, a base escursioni in barca sul fiume in mezzo alle montagne a panettone ricoperte di vegetazione. Sono proprio quelle che avete visto nel film Avatar, se non per il fatto che non fluttuano in aria.
Passare intere giornate con lei è stato letale per il nostro rapporto: i suoi capricci da bambina viziata si erano acuiti terribilmente, le litigate per fesserie si erano fatte sempre più frequenti e la situazione era diventata insostenibile, tanto che ormai contavo i giorni che mancavano alla fine della vacanza.
Il giorno in cui nel pomeriggio avremmo avuto l’aereo per tornare a Xiamen, ricevo in mattinata una telefonata da un mio collega che mi avvisa che i voli erano stati cancellati. Era il 14 Settembre 2016.
È un giorno storico: in serata si sarebbe abbattuto sulle coste cinesi il tifone Meranti.
Quella bestia tropicale si è rivelata essere il ciclone tropicale di categoria 5 più potente dell’ultimo secolo, e forse della storia, con venti oltre i 300km/h.
Ma io che diavolo potevo saperne? Da bravo idiota, ero abituato ai tifoni (tanto ne arrivavano cinque all’anno) e anche ai disguidi aeroportuali cinesi. Non se ne parlava: tre giorni dopo dovevo tornare in Italia per lavoro e non volevo né perdere il volo, né rimanere più tempo con lei a Guilin.
Tranquillamente rinuncio all’aereo, mi reco in stazione e prendiamo un treno ad alta velocità fino a Guangzhou, a circa 400 km, per poi prendere un altro treno per altri 500 per ritornare finalmente a Xiamen. Mentre siamo sul treno, un annuncio comunica che tutti i treni e persino gli autobus sono stati sospesi a causa dell’arrivo del tifone, quindi saremmo rimasti bloccati a Guangzhou.
Nessun problema: nel giro di venti minuti, su Dididache (l’equivalente cinese di Uber/Blablacar) avevo rintracciato un folle che per 350 yuan a testa (50 euro circa), ci avrebbe portati dritti dritti nell’occhio del ciclone.
Giuro che mi ero anche sentito un gran figo a sapermi adattare così in fretta per arrivare dove volevo, superando le inefficienze dei mezzi di trasporto cinesi… quando invece mi stavo tirando sui piedi una zappata secolare! Bravo mona!
Arriviamo in albergo esattamente un’ora prima dell’arrivo del tifone e Kazhan, dopo sei ore di macchina, è imbestialita come non mai. Ovviamente, sfoga la sua frustrazione su di me, prendendomi ripetutamente a schiaffi. Il tutto avveniva mentre l’albergo oscillava in maniera percepibile, visto che eravamo all’ottavo piano e le raffiche di vento che infuriavano fuori dalla finestra superavano i duecento kilometri orari. Come diavolo riusciva a essere così energica dopo una giornata del genere?
Dopo due ore di litigata in cui ripetutamente mi scarica dicendo di odiarmi, finalmente si calma. Le faccio presente che è assolutamente infattibile per lei tornare a casa a causa del tifone, pertanto avremmo dovuto dormire insieme. Non avete idea di quanto sia inquietante scopare in un edificio che balla come se fosse scosso da un terremoto… è stata un’esperienza mistica anche quella.
La mattina successiva mi sveglio per primo e fuori dalla finestra contemplo uno scenario apocalittico.
La città è praticamente distrutta, quasi un terzo dei vetri del grattacielo di fronte è esploso per la differenza di pressione, gli alberi sradicati bloccano quasi tutte le strade, ogni cartello o semaforo è stato sbattuto al suolo o peggio, è voltato via, andandosi a conficcare nei vetri delle auto, e si sente continuamente il fischio delle sirene dei mezzi di soccorso. Ovviamente, manca sia la corrente che l’acqua.
Sveglio Kazhan. Lei non mi rivolge la parola per tutto il tempo in cui facciamo colazione alla pasticceria di fronte all’albergo. Rientrati in stanza le parlo e le faccio capire che aveva ragione: la situazione è insopportabile e fra noi era finita.
Lei impazzisce, mi insulta e mi rompe un vaso di fiori in testa.
Fortunatamente era di qualità cinese per cui me la cavo solo con un graffio, ma sono abbastanza spaventato da precipitarmi in corridoio e chiedere aiuto al personale dell’albergo.
In tutta risposta, l’inserviente chiama subito la polizia.
Nei venti minuti successivi, la situazione degenera: Kazhan insulta il personale dell’albergo, lancia oggetti per la stanza, concludendo in bellezza aprendo la finestra e minacciando di buttarsi giù perché non può vivere senza di me.
Dovevate vedere la faccia dei due poliziotti, già sicuramente alterati per la giornata di merda e gli otto piani di scale che si erano appena fatti, quando si sono affacciati alla mia stanza.
La situazione era circa la seguente: camera distrutta, cinque inservienti che correvano come formiche impazzite per la stanza, Kazhan con le gambe fuori dalla finestra che scalcia e grida in inglese minacciando di buttarsi, io che l’ho bloccata mettendole un braccio attorno alla vita e, mentre incassavo gomitate, spiegavo in cinese ai poliziotti la situazione con una freddezza encomiabile.
In tutto questo forse ho avuto fortuna che lei fosse così completamente impazzita: è stato subito chiaro a tutti che io, il laowai (lo straniero, colpevole per definizione), ero quello calmo e razionale dei due.
Kazhan, alla minaccia di venire arrestata per disturbo dell’ordine pubblico, finalmente si calma.
Veniamo scortati alla reception e, dopo essersi sincerati che io avessi ripagato l’albergo di tutti i danni da lei provocati, veniamo invitati ad andarcene, con tanto di giro di chiave della porta alle nostre spalle.
Una volta in strada, in mezzo alla devastazione del tifone, ci salutiamo in modo stranamente maturo e ci avviamo in direzioni opposte… Sospiro, è finita! Che sollievo…
Ahia, cazzo!
Una violenta bastonata mi riporta alla realtà.
Kazhan nel giro di trenta secondi ci ha ripensato, ha estratto dalla valigia un grosso dipinto a rotolo che avevamo comprato a Guilin (quelli ai cui estremi sono incollati due legni di quasi un metro) e lo sta usando per bastonarmi senza pietà.
Cerco scompostamente di scappare, ma con la valigia al seguito non è facile, per cui dopo trenta metri cambio strategia e tento di disarmarla.
Lei si mette a gridare in cinese, dicendo accusandomi di picchiarla, e io capisco subito che reagire non è una buona strategia.
Ritento la fuga per un altro centinaio di metri, incassando bastonate su bastonate, per poi definitivamente fermarmi e rassegandomi a prendermele, cercando alla meglio di parare i colpi. Sei anni di scherma improvvisamente mi tornano comodi, visto che scopro di saper ancora scansare accettabilmente bene.
Inevitabilmente, la scena aveva attirato l’attenzione dei passanti, per cui in pochi minuti ci eravamo ritrovati circondati da una folla di trecento cinesi armati di smartphone, che riprendevano la singolare scena di un occidentale che veniva bastonato senza pietà da una ragazza cinese che lo insultava in inglese, mentre lui traduceva in cinese alla folla i suoi deliri. (…che al mercato mio padre comprò!)
La folla…Sì, la folla, mi servono testimoni per riuscire a cavarmela, ottima idea!
Incasso cinque minuti di bastonate, con lei che mi minaccia chiedendomi soldi per non farmi finire nei guai. La folla impazzita che ride sadicamente dello spettacolo.
Il momento clou, divenuto un video virale, è stato ripreso da uno di loro.
“You treated me…” – bastonata – “…like a fucking bitch!” – bastonata – “So give me fucking money…” – bastonata – “Everything you have!” – bastonata –
Guardo in camera e traduco in mandarino:
“Sta facendo finta di essere una [inserisci qui parola con la T bandita dal vocabolario dei victorini] e che io le deva dei soldi… ma è la mia ragazza e stiamo insieme da cinque mesi!”
La folla esplode a ridere, io mi becco un’altra bastonata fortissima alla schiena. Meritata, probabilmente.
Quel video è rimasto online dodici ore in tutto… abbastanza perché tutti i miei colleghi cinesi lo vedessero ovviamente. Fra questi, anche il responsabile ufficio tecnico che mi manda una mail con oggetto “Hey Wu Tianshi, che cos’hai combinato stamattina?”
Se Xi Jinping mi concedesse un colloquio, credo che la prima cosa che gli chiederei sarebbe di accedere agli archivi di video tolti da internet perché “diseducativi per la società socialista armoniosa” e mandarmi quel trofeo. Lo bramo!
Dopo dieci minuti di bastonate, metà scansate e metà subite, imploro uno dei passanti di chiamare la polizia. Glielo devo chiedere tre volte prima che smetta di ridere e lo faccia sul serio.
Segue un altro quarto d’ora di bastonate, fino a quando finalmente si sente arrivare in lontananza una sirena della polizia, al cui suono la folla si disperde. La macchina non fa in tempo a fermarsi che io mi sono già aperto la portiera posteriore e gettato dentro.
Ma Kazhan è talmente fuori di testa che decide di salire anche lei, gridandomi che non me l’avrebbe fatta passare liscia.
Alzo lo sguardo e imploro i poliziotti di salvarmi da lei, e attraverso le sbarre incrocio lo sguardo familiare di uno di loro:
“Hái yǒu nǐmen?” (Ancora voi?)
Sbotta seccato il conducente… che era uno dei due poliziotti che era già venuto a soccorrermi in albergo.
In quel momento, ho capito che forse me la sarei riuscita a cavare:
Mr. Chen il poliziotto mi odiava, ma gli stavo decisamente simpatico!
Arrivati in centrale, nell’ilarità di una ventina di agenti che avevano pescato in fallo un occidentale, Kazhan da in escandescenze e mi accusa di picchiarla, insultarla e di essere un brutto e cattivo capitalista occidentale… il solito copione di stereotipi!
Il tutto si svolge in una sala da interrogatori da cinema americano, dotata di due telecamere con un lungo tavolo ai cui estremi opposti eravamo seduti lei ed io. Ai lati, una decina di poliziotti girano nervosamente la testa a destra e a sinistra come in un match di tennis, guardando prima lei, poi me, poi di nuovo lei… e così via.
Lei è un fiume di parole: piange, strilla e racconta che non possono comprendere quanto io sia stato cattivo con lei, di quanto la picchiavo e la insultavo e di quanto la trattavo male.
Quasi tutti i poliziotti si schierano apertamente dalla parte della bella ragazza isterica in lacrime, mentre io sono esausto e riesco a malapena a incespicare qualche risposta in cinese appena comprensibile.
Dopo un’ora di delirio, lei aveva convinto tutto il dipartimento di polizia che il cattivo sono io… Aveva convinto tutti, ma non Chen, che seccato la interrompe:
“Hai detto che lui ti picchia e ti insulta? Beh, invece io è da stamattina che vedo che picchi e insulti lui, che è sempre calmo. Tu invece sei pazza e non hai neanche un livido né un graffio…”
Kazhan si blocca, poi s’incazza ancora di più:
“Lui è il peggior ragazzo che ho mai avuto, non si prende per niente cura di me!”
In quel momento in cui stavo per finire in gattabuia in Cina, accusato ingiustamente di essere un sex offender, ho un flash mentale: mi appare Massimo Decimo Meridio che mi porge la mano in un campo di spighe e mi ricorda “Conquista la folla, e conquisterai la libertà!”
Mi alzo di scatto e batto stizzito un pugno sul tavolo:
“Kazhan, che cazzo dici che non mi prendo cura di te? Ti ho fatto venire tre volte ieri sera…”
Silenzio imbarazzante. Oddio che cazzo ho fatto? Stacco… Suspence…
Chen esplode a ridere… Gli altri otto poliziotti esplodono a ridere… Uno ride talmente forte che cade dalla sedia e rotola sotto al tavolo tenendosi la pancia… Un altro sbatte la testa sul tavolo ridendo… Un altro ancora si appoggia al muro e batte i pugni mentre ha le lacrime e continua a ripetere “Non ci credo, non ci credo!”… Quello alla mia sinistra cerca di darmi il cinque ma si inciampa alzandosi e continua a ridere come un matto… Kazhan mi urla insulti intraducibili in Minnanhua, il suo incomprensibile dialetto…
“Hey ragazzi, ma non era neanche granché come battuta, ho solo detto la verità!”
Risate che continuano altri due minuti, sono impazziti tutti, finché Chen non riesce a ristabilire un minimo di serietà e, ancora sghignazzando, sancisce:
“Buttate fuori questi due idioti, che non voglio più vederli!”
Quattro poliziotti, ancora in preda a risate folli, ci trascinano praticamente di peso fino alla porta, mentre io li imploravo di tenermi dentro e salvarmi da lei.
Loro non vogliono sentire ragioni, Chen aveva parlato, ero un uomo libero e dovevo andarmene!
Arrivo in strada, approfitto di un momento di distrazione di Kazhan, mi carico la valigia in spalla, tiro lo scatto e arrivo di corsa al primo incrocio.
Fermo al volo un risciò: “Ti do trecento yuan, portami via!”
Ce l’avevo fatta, ero uscito indenne da questa follia. Su Xiamen finalmente usciva un raggio di sole e il risciò mi stava portando lontano in periferia, scansando gli alberi abbattuti che ingombravano la strada, nei riflessi della luce del tramonto che inondava le strada bagnate della devastazione di una città distrutta.
Suona il telefono: è mia madre che mi annuncia che mia sorella due ore prima aveva partorito una bellissima bimba sana. Ero diventato zio per la terza volta.
Mi chiede preoccupata se va tutto bene, che ha visto al telegiornale del tifone “in Cina” ma non sapeva bene quanto lontano era passato dalla mia città.
“Il tifone mi ha centrato in pieno mamma, ma va tutto bene, non preoccuparti!”
Bene, potrei chiuderla qui questa storia, sarebbe quasi poetico, vero?
Invece no, c’è dell’altro!
Nei sei mesi successivi, la mia azienda decise di sbaraccare la produzione in Cina per andare in India… (Management del cazzo, ma che idee avete?) ed io ho colto l’occasione per licenziarmi.
La mia ultima settimana in Cina è stata una serie di sbronze epocali, sempre accompagnato dalla ristretta cerchia dei pochi occidentali presenti a Xiamen.
A loro avevo dato precise istruzioni in merito al fatto che non dovevo mai e poi mai e per nessun motivo rincontrare Kazhan. Il rischio era concreto, visto che i locali da occidentali erano sempre quelli e, nonostante i sei milioni di abitanti di quella città, ci si beccava sempre negli stessi posti.
A tre giorni dalla mia partenza, dopo aver ben carburato nell’unica pizzeria della città, siamo finiti in un locale della via dei bar. Ricordo che quella sera mettevano musica latino americana che mi innervosiva tantissimo, per cui avevo optato per ammazzarmi di Vodka. Alla terza bottiglia, verso le undici di sera, il mio cervello blinka completamente. Vuoto totale.
Mi risveglio alle undici in un letto che non è il mio con un mal di testa atomico, abbracciato a una bellissima ragazza dalla pelle morbidissima.
Guardo quanto è bella, le faccio senza pensarci due carezze e le do un bacio, le scosto i lunghi capelli neri dalla faccia e… Oh merda! È Kazhan! Ma P$%&”&%$%$&%, che cazzo ho fatto?!?
Lei si sveglia, stiracchiandosi dolcemente, e con la sensualissima voce roca da coccole mattutine canticchia:
“Happy birthday to me! Thank you for being my gift, today is my birthday!”
Era sul serio il suo compleanno, quegli stronzi dei miei amici la sera prima mi avevano lasciato stare perché mi avevano visto assieme ad una bellissima ragazza e lei in tutto questo mi aveva convinto ad essere il suo regalo.
No, non ho assolutamente avuto il cuore di scaricare senza pietà una donna che avevo amato nel giorno del suo compleanno, non importa cosa mi avesse fatto prima.
Abbiamo passato una bellissima giornata insieme, siamo stati in tutte le pasticcerie della città ed abbiamo assaggiato una fetta di ogni torta che lei voleva, scherzando e ridendo come quando stavamo insieme. Questo forse potrebbe essere un altro lieto fine? Che ne so…
Ho pianto mentre prendevo l’aereo per tornare in Italia, e credo che l’abbia fatto anche lei.
Dieci giorni dopo mi manda una foto: si era fatta un nuovo tatuaggio e voleva mostramelo.
Salto sulla sedia quando lo vedo: sul suo bellissimo culo si era tatuata un fiore di glicine… con scritto sopra il mio nome e cognome in corsivo con le iniziali in minuscolo!
No, io non sono Victor, non me ne sono mai sentito degno
[Jingle di chiusura:]
La storia t’è piaciuta?
T’ha fatto cagare?
Poco male, tanto la potrai votare!
[/Jingle di chiusura]
Illustrazione 14 del Decamerone Cazzone:
Che Victor benedica i completini
- Faccialibro
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- 14condivisioni
Ci si potrebbe fare un film su questa storia 😮
Voglio già il sequel
Siamo in buoni rapporti. Purtroppo ora è a Shenzhen, sennò ve l’avrei portata volentieri alla prossima festa per farvi uno scherzone 😅
Madonna che storia!! La tipina invece, chi è? 😝
Il decamerone cazzone sta tirando fuori alcune perle uniche!
Prima di questa storia, pensavo di aver avuto esperienze di vita insolite! Ho amato tutto ciò.
Prima volta che non mi fermo a metà per una storia troppo lunga (si ho problemi a concentrarmi sulle cose che non m’interessano) bravo! Queste donne dovrebbero rinchiuderle altro che!
Che onore!
In realtà era il secondo arresto in Cina a causa di una donna impazzita, ero già navigato. Il primo però era meno coreografico, quindi ho voluto direttamente raccontare l’apice dello sclero
Ho capito che era Fabris dalle prime due frasi.
Tanta tanta tanta roba!!! Bellissima storia!!!
Giù il cappello. Gran storia
10/10 would read again
Una delle storie migliori!!
Ogni volta che provo a postare dal telefono il messaggio scompare… boh
Ad ogni modo questo racconto è da togliersi il cappello.
Certo che una bellissima pazza innamorata di te è fonte di guai al 110%…
devastante